Le glorie del calcio belluschese
ANGELO MISANI E PATRIZIO SALA. DUE STORIE, DUE CARRIERE, DUE EPOCHE DIFFERENTI MA UNITE DA UN UNICO COMUN
DENOMINATORE: L’ESSERE PARTITI TIRANDO CALCI AD UN PALLONE NEL “CAMPONE” IMPOLVERATO DELL’ORATORIO, ARRIVANDO A CALCARE I PALCOSCENICI DEL CALCIO PROFESSIONISTICO, SENZA MAI PERDERE IL CONTATTO CON LE PROPRIE RADICI. RIPERCORRIAMO, ATTRAVERSO RICORDI ED ANEDDOTI PARTICOLARI, LE CARRIERE DEI NOSTRI DUE GRANDI CALCIATORI.
LO STOPPER GOLEADOR
Ripercorriamo la storia di Angelo Misani, uno dei pochi “ad avercela fatta”. Dagli esordi con Gigi Riva alla tripletta contro il cugino Stucchi ed un legame mai intaccato con Bellusco.
Anche Bellusco, nel suo piccolo, ha dato il proprio contributo al calcio italiano, proiettando a livello professionistico tanti ragazzi, più o meno noti, soprattutto alle nuove generazioni. Uno di questo è Angelo Misani, classe 1940, che di ruolo faceva lo stopper ma, ciononostante, aveva anche un certo feeling con il gol. Nel corso della sua carriera, che ha attraversato gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ha percorso lo stivale da nord a sud, arrivando in serie C, ma mantenendo sempre ben saldo il legame con le proprie radici.
Ripercorriamo le tappe principali della sua carriera.
Ho iniziato, come tanti ragazzi, a giocare a pallone in oratorio con la maglia rossoblù a quattordici anni. Nel 1961 sono stato
acquistato dal Legnano, dove ho avuto l’onore di giocare con Gigi Riva e vivere la mia prima esperienza nel calcio professionistico. Poi, gli ultimi e più longevi step del mio percorso sportivo: cinque anni a Pescara e sette ad Acireale. Una volta conclusa la carriera da calciatore ho intrapreso quella da allenatore: due stagioni al Monza, categoria Berretti ed una a Civitavecchia, prima che un problema all’anca mi impedisse di proseguire.
Quali sono le differenze tra il calcio professionistico e non?
In realtà, al contrario di quanto si possa pensare, non ci sono chissà quali differenze. Quantomeno, io non ne ho viste:
sicuramente, giocando in ambito professionistico, puoi concentrarti e dedicare tutte le energie soltanto al tuo lavoro e
questo è senza dubbio un bel vantaggio.
Aneddoti ed episodi particolari che ricorda con piacere?
Ricordo anzitutto una partita disputata allo stadio Flaminio contro la Tevere Roma, allenata da mio cugino Giosuè Stucchi (ex calciatore, tra le altre, di Udinese, Roma e Brescia, ndr), anch’egli originario di Bellusco. Ero in forza al Pescara ed in quell’occasione riuscii a segnare tre reti, nonostante il mio ruolo da difensore. Sempre con la casacca biancazzurra, ho ben impresso un calcio di rigore contro il Bari di fronte a trentamila spettatori: nessuno aveva il coraggio di andare sul dischetto, lo feci io e segnai (sorride, ndr).
Qual è il suo rapporto con Bellusco?
Bellusco è casa mia ed il rapporto con il mio paese è sempre stato indissolubile, specialmente quando ho vissuto lontano
da qui. Ho lasciato il mare, la Sicilia, un vero e proprio paradiso terrestre, per tornarci a vivere. Alla domanda “Da dove
vieni?”, non ho mai risposto “Vengo da Milano oppure da Monza”, ma “Io sono di Bellusco”.
E di questo ne vado fiero.
IL MEDIANO DELL’ULTIMO SCUDETTO
Dal campo dell’oratorio al tricolore con i granata: la storia di “Pat” Sala, tra Torino, Nazionale ed il mito degli eroi di Superga.
Per tutti era “Pat” Sala, diminutivo utilizzato per distinguerlo dall’altro Sala, Claudio, che militava anch’esso nel Torino di metà anni Settanta. Classe 1955, come tanti dei nostri ragazzi ha iniziato a tirare calci ad un pallone all’oratorio, finché, a quindici anni, arriva la chiamata del Monza, che gli consente di disputare le prime due stagioni nel calcio professionistico.
Nel 1975, poi, la svolta: Gigi Radice, che lo aveva già notato nelle giovanili biancorosse, diventa allenatore del Torino e lo
vuole fortemente con sé. Parte come riserva di Roberto Salvadori, ma ci mette poco a ribaltare le gerarchie e divenire, da mediano, titolare inamovibile di quel Torino capace, ventisette anni dopo la tragedia di Superga, di riscaldare nuovamente
il cuore dei tifosi. ‹‹È successo tutto talmente tanto in fretta che, sinceramente, non mi sono nemmeno reso conto di dove fossi finito e di che cosa stessi vivendo - ci racconta - Entrare per la prima volta negli spogliatoi del “Filadelfia”, dove si cambiavano gli eroi del Grande Torino, ha suscitato in me emozioni straordinarie.››
All’ombra della Mole conquista subito il Tricolore, il primo dopo la tragedia di Superga e, tutt’ora, l’ultimo nella storia della società, giocando a fianco di campioni del calibro di Pulici, Graziani, Zaccarelli, Claudio Sala e Pecci. Terminata l’avventura con i granata, durata sei stagioni, Patrizio ha poi vestito le casacche di Sampdoria, Fiorentina, Pisa, Cesena e Parma, prima di intraprendere la carriera di allenatore. Nel corso degli anni torinesi ha avuto l’onore indossare anche la maglia della Nazionale: prende parte, infatti, al Campionato del Mondo del 1978 in Argentina, dove il bilancio della spedizione azzurra risulta tutto sommato positivo, con un quarto posto che pone le basi, sotto la guida di Enzo Bearzot, per il trionfo di quattro anni più tardi nel “Mundial” spagnolo.
‹‹Cosa rappresenta per me Bellusco? - chiude - Anche se il rapporto con il mio paese si è fatto, col passare del tempo,
purtroppo un po’ distaccato a causa della mia assenza fisica, ricordo sempre con estremo piacere occasioni particolari
come ad esempio le cene di “classe”, che mi tengono legato alle mie radici.›